Conversano, chiesa dei Santi Cosma e Damiano – Il trionfo del barocco napoletano

Il trionfo del barocco napoletano si svela dietro la sobria facciata della chiesa dedicata ai Santi Cosma e Damiano

Situata nel cuore di Conversano,  lungo il percorso della prima cinta muraria, la chiesa era già edificata nel 1636 per volere di Giangirolamo II di Acquaviva e la consorte Isabella Filomarino che commissionarono il rinnovamento dell’antica chiesa romanica di San Matteo, intitolando il nuovo complesso ai Santi Medici Cosma e Damiano, a cui i conti erano particolarmente devoti, avendone ricevuto una grazia.

L’edificio preesistente fu sottoposto ad un totale rifacimento secondo lo stile barocco, e l’incarico dell’integrale riprogettazione dell’apparato decorativo interno, fu affidato al pittore napoletano Paolo Finoglio che però, morto prematuramente nel 1645, non vide mai compiuta l’opera, proseguita dai suoi allievi; la chiesa fu poi consacrata nel 1660 dal vescovo Giuseppe Palermo.

L’esterno si presenta estremamente sobrio, con muratura compatta e uniforme in pietra calcarea (quasi ispirandosi all’antico stile romanico). La facciata presenta cordoli che la percorrono orizzontalmente e, in asse con il portale di ingresso, una grande finestra con lesena, il cui modello è ripreso dalle più piccole finestre sul prospetto laterale (all’intersezione con Corso Umberto).

Il campanile è a due ordini, in mattoni.

Notevole è il contrasto tra la semplicità delle facciate esterne e il fastoso spettacolo all’interno della chiesa, autentico trionfo del barocco napoletano; a partire dalla volta, infatti, un susseguirsi di stucchi e dorature fanno da cornice agli splendidi affreschi della volta e ai grandi dipinti degli altari, realizzati in gran parte dallo stesso Finoglio.

Nei quattro angoli della volta campeggia lo stemma degli Acquaviva con al centro lo scudo Filomarino.

La perfezione delle cornici e l’abile gioco di luce ideato per la volta, hanno fatto supporre l’intervento dell’architetto Cosimo Fanzago, creatore di opere simili a Napoli, tra tutte la chiesa di S. Chiara.

Gli affreschi della volta raffigurano in dieci scomparti alcune scene del martirio e alcuni miracoli dei Santi Medici e nell’undicesimo i santi taumaturghi che ascendono al cielo in compagnia di S. Francesco, S. Antonio e S. Chiara. Sarebbero stati eseguiti dal Finoglio e dopo il 1645, anno della sua morte, completati dai suoi allievi (tra questi, il pittore di Giovinazzo Carlo Rosa).

Di seguito lo slide show con le nostre foto:

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I lavori si sarebbero poi conclusi nel 1650, come attesta un’iscrizione nel riquadro della volta posto in direzione del portale d’ingresso. Secondo il giudizio degli studiosi, i tre affreschi centrali, in asse tra loro, raffiguranti i Santi Medici dinanzi alla SS. Trinità, i Santi gettati dalla rupe e i Santi salvati dall’angelo, sarebbero, invece, opere complete del Finoglio. Interessante anche il riquadro che rappresenta La carità di S. Elisabetta d’Ungheria, la regina terziaria patrona delle Terziarie che abitarono il monastero per quasi due secoli.

I dipinti collocati sugli altari rivestono un ruolo fondamentale nel progetto di esaltazione dell’importanza del signore committente, e i soggetti rappresentati possono essere interpretati secondo interessanti chiavi di lettura. A tale scopo particolare rilevanza assume la raffigurazione del Battesimo di Cecilia e Valeriano officiato dal papa Urbano I (secondo altare a sinistra dell’ingresso). Il dipinto narra non solo il voto di santa Cecilia non tradito per il consenso dell’amato Valeriano, ma anche di una fase della storia della contea di Conversano. Infatti la coppia di sposi in ginocchio è “controfigura” del conte e della contessa committenti, in atto di ossequio a papa Urbano VIII, ( al secolo Maffeo Barberini, che già aveva concesso, con bolla del 1636, alle suore francescane di questo convento di seguire la regola di Santa Elisabetta d’Ungheria). Inoltre, alle spalle di Santa Cecilia, è raffigurato un prelato dalla mozzetta rossa e il pizzetto alla francese che gli storici dell’arte identificano con Ascanio Filomarino (stretto congiunto della contessa), basandosi sul confronto con altri suoi ritratti e col mosaico dei SS. Apostoli a Napoli. Stando alle cronache dell’epoca, costui avrebbe “presentato” il conte al papa, consentendogli di divenire filofrancese.

Urbano I battezza S. Cecilia e Valeriano – Paolo Finoglio

Urbano I battezza S. Cecilia e Valeriano – Paolo Finoglio

Anche la tela della Vergine in trono col Bambino che incorona una santa francescana, collocata nella prima cappella a destra, fa riferimento ad episodi e personaggi della vita del conte: gli elementi iconografici identificano Santa Rosalia con una tale Rosalia Filomarino, che fu badessa in quegli anni. Sullo sfondo, inoltre, è rappresentata una città marinara in fiamme che ricorda l’impresa del conte quando liberò Manfredonia dall’attacco dei saraceni. Presenti i tipici angioletti ricorrenti nelle tele del Finoglio.


Vergine con Bambino che incorona santa Rosalia,  Paolo Finoglio

Vergine con Bambino che incorona santa Rosalia,  Paolo Finoglio

La prima cappella a sinistra ospita una tela raffigurante S. Antonio che libera il padre accusato di omicidio. Secondo la tradizione, il pittore avrebbe iniziato i lavori proprio da questo altare, affinché i santi epònimi, raffigurati nella tela , sorvegliassero l’intera esecuzione.

S. Antonio che libera il padre accusato di omicidio, Paolo Finoglio

Altra rilevante tela è il miracolo di  S. Domenico che dona la vista ai ciechi, commissionata a Paolo Finoglio dall’Università e quindi dal Comune di Conversano. Si notano subito gli elementi finoglieschi come la splendida rappresentazione della veste bianca del Santo. Ai piedi di S. Domenico, in basso a destra, una figura che presumibilmente rappresenta un autoritratto dell’autore stesso in atto di adorazione.

S. Domenico dona la vista ai ciechi

La terza cappella a sinistra, invece, fu trasformata per volere di mons. Lamberti nel 1898. E’ dedicata al culto di Santa Rita, molto radicato nei conversanesi in seguito al miracolo avvenuto proprio in questa città, che fu decisivo per la canonizzazione della Beata. In seguito a questo evento, la chiesa è stata elevata a Santuario ritiano, il secondo in Italia, dopo Cascia.

Accanto a tale cappella, nel cosiddetto “altare delle Reliquie”, è collocata una bella Madonna della Purità, una tavola di matrice toscana, forse cinquecentesca, non ancora attribuita: la dolcezza della Vergine si svela nel gesto che Ella rivolge al Bambino.

Le ante dell’armadio delle reliquie, datato 1656, furono realizzate da Nicola Gliri e da lui dipinte con i santi Francesco e Chiara.

L’altare maggiore, in marmi policromi settecenteschi e legno, ospita un San Cosma e San Damiano in estasi di Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, pittore veronese che lavorò molto a Roma su commissione di Maffeo Barberini.

 

I sottarchi delle gallerie del matroneo sono opera di Cesare Fracanzano (XVII secolo) che aveva operato anche nella vicina chiesa di S. Benedetto.

Alla destra del portale d’ingresso, dove si scorgono tracce di un’altra cappella, è presente una cantoria barocca in cui è collocato il secondo organo, voluto qui perché fosse accessibile a chiunque. Infatti l’altro, collocato nel matroneo in legno dipinto, era accessibile solo dalla clausura.

Sulla porta d’ingresso della chiesa e su quella del monastero il Guercio fece collocare gli stemmi in pietra del suo casato; successivamente, in seguito all’abolizione della feudalità nel Regno delle Due Sicilie (decreto firmato da Giuseppe Bonaparte il 2 luglio 1806), durante una sommossa popolare, lo stemma della chiesa venne asportato e se ne vede ancora chiaramente l’alloggiamento.

 

 Fonte

Chiesa e convento dei SS. Medici Cosma e Damiano, ITC – Conversano

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